martedì, dicembre 25, 2007

Piano per lo studio in rete della costituzione e dell'attivita del Tribunale di Norimberga

Versione 1.0

In data 8 agosto 1945 – guarda caso due giorno dopo lo sganciamento dell’atomica su Hiroshima – gli alleati si accordano per la costituzione del Tribunale di Norimberga.

Links:
1. Data dell’Accordo;

La Germania sconfitta, giorno per giorno, dal 1 maggio 1945 in poi

Versione 1.4

Attingendo prevalentemente dalle risorse della Rete e dai documenti in essa presenti nelle lingue a me accessibili tenterò di realizzare l'equivalente elettronico della cronica di Manfred Overesch, “Das besetzte Deutschland”, in due volumi. È una storia che mi pare terribile, deprimente ma anche altamente istruttiva se vogliamo recuperare la nostra consapevolezza, ossia la base per poter ricominciare. Il lavoro di una cronologia generale dal 1° maggio 1945 fin dove possibile è enorme, ma è già una cosa incominciarlo e pensarlo. La periodizzazione dal 1° maggio è scelta simbolicamente in quanto giorno successivo al suicidio di Hitler. Decisamente, una nuova fase, una nuova storia iniziava per la Germania e per l’Europa intera.

* * *


1 maggio 1945: «Il 1 maggio 1945, il giorno dopo il suicidio di Hitler, Goebbels fece dapprima uccidere i sei figli con iniezioni letali, sembra dallo stesso medico che il giorno prima aveva soppresso i cani del Führer. Tuttavia come per i momenti finali di vita di Hitler, i dettagli della morte del ministro della Propaganda e di sua moglie restano poco chiari.

Mentre è certo i figli furono tutti avvelenati mediante cianuro, alcuni sostengono che sparò alla moglie e poi rivolse l'arma verso di sé altri che egli e la moglie, date disposizioni per la cremazione dei loro corpi, si fecero uccidere da un attendente con due colpi alla nuca. Anche se quando i loro corpi vennero trovati dai sovietici erano troppo carbonizzati per discernere la verità» (Fonte).
Links:
1. El señor de las palabras.

• «Il 1 maggio 1945 (Hitler era già morto) i russi avanzavano nella Wihlemstrasse, nell'Unter den Linden e nel Tiergarten»; «Il 1° maggio 1945 il maresciallo Stalin annunciava l'entità delle perdite subite al fronte orientale dalle truppe tedesche negli ultimi tre mesi di guerra. Esse ammontavano a 1.00.000 di morti, 800.000 prigionieri, 6.000 aerei, 12.000 carri armati e semoventi, oltre 23.000 pezzi di artiglieria distrutti o catturati. Intanto, mentre cessava l'eroica resistenza di Berlino, restavano ancora numerose isole di resistenza tedesche: 30 divisioni agli ordini del maresciallo Busch nel Brandeburgo, 15 divisioni alle foci dei fiumi Weser; Elba e Oder, 20 divisioni agli ordini del maresciallo Schorner in Boemia, un gruppo di unita agli ordini diretti del maresciallo Kesselring in Baviera, le truppe della Norvegia, Danimarca. Olanda occidentale, Curlandia, Creta, Foresta Nera, i presidi di Lorient, Saint-Nazaire, La Rochelle, Dunkerque e delle Isole Normanne, il valoroso presidio di Breslavia in Slesia accerchiato da imponenti forze sovietiche» (Fonte).

2 maggio 1945: «Il 2 maggio 1945, il generale Weidling, ultimo comandante tedesco di Berlino, firmava la resa al Comando sovietico, mentre in alcune zone della capitale si combatteva ancora»
(Fonte). «La battaglia di Berlino fu la battaglia finale del teatro europeo nella seconda guerra mondiale. Fu un massiccio attacco sovietico da est. La battaglia durò dal 16 aprile al 2 maggio. Il 30 aprile Adolf Hitler, vista persa la guerra, si suicidò e la Germania si arrese l’8 maggio, 6 giorni dopo la fine della battaglia» (Fonte). «Dopo la morte di Adolfo Hitler, fra le rovine di Berlino, i reparti superstiti della Waffen SS ed i giovanissimi combattenti della « Hitler Jugend » continuavano a combattere disperatamente fino al 2 maggio, quando tutta la città era ormai nelle mani, dell'Armata Rossa. Il 2 il Generale Weidling si arrendeva con i superstiti della guarnigione, ma altri scontri proseguivano in alcuni punti della città anche nei giorni successivi» (Fonte).

• A Parigi in una edizione straordinaria del giornale per i militari americani “The Stars and Stripes” viene data la notizia della morte di Hitler.
• Ad Amburgo fine della guerra.
• Scomparsa di Martin Bormann, per la cui scheda linkata da Olokaustos si raccomandano tutte le cautele connesse a questo tipo di storiografia ufficiale: «Bormann fu giudicato colpevole al processo di Norimberga e condannato a morte in contumacia. Nulla di certo si sapeva di lui da quando aveva abbandonato il Führerbunker insieme al dottore delle SS Ludwig Stumpfegger e al capo della gioventù hitleriana, Artur Axmann. L'ultimo uomo ad averlo visto era stato Erich Kempka, autista di Hitler, durante la notte fra il 1 e il 2
maggio 1945» (Fonte). Circa le leggende sulla morte di Bormann in un diffuso contesto da caccia al nazista tipico del dopoguerra: «Il Tribunale di Francoforte chiude definitivamente la pratica con una dichiarazione di morte di Bormann avvenuta il 2 maggio 1945» (Fonte).

3 maggio 1945: «Il 3 maggio a Wittenberg, sull'Elba, avveniva anche il congiungimento tra le truppe britanniche e quelle sovietiche.» (
Fonte).

4 maggio 1945: «Il 4 maggio 1945 si arrendevano al XXI Gruppo di Armate del maresciallo Montgomery, le truppe tedesche dell'Olanda, della Danimarca e della Germania nord-occidentale. Firmavano la resa il generale ammiraglio von Friedeburg, il vice ammiraglio Wagner ed il generale Kienzl» (Fonte). «Il 4 e il 5 maggio si arrendevano agli anglo-americani le truppe tedesche in Olanda, Danimarca, Germania nord occidentale e Baviera orientale» (Fonte).

• «Strumento di resa di tutte le forze armate tedesche in Olanda, nel nord ovest della Germania incluse tutte le isole e in Danimarca.
1. Il Comando tedesco accetta la resa di tutte le forze armate in Olanda, nella Germania del nordovest incluse le Isole di FRISLIAN e HELIGOLAND e tutte le altre isole, in SCHLESWIG-HOLSTEIN e in Danimarca, al Comandante in Capo del 21° Gruppo dell'esercito. Ciò include tutte le navi in queste aree. Queste forze devono gettare le armi e arrendersi incondizionatamente.
2. Tutte le ostilità su terra, su mare o nell'aria da forze tedesche nelle sopra citate aree cesseranno alle ore 0800 British Double Summer Time di sabato 5 Maggio 1945.
3. Il comando tedesco deve subito eseguire, e senza discussioni o commenti, tutti gli ulteriori ordini che saranno pubblicati dalle Potenze Alleate su qualsiasi soggetto.
4. La disubbidienza a ordini o il loro mancato adempimento, saranno visti come una violazione di questi termini di resa e saranno trattati dalle Potenze Alleate in concordanza con le leggi e usi di guerra.
5. Questo strumento di resa è indipendente da, senza pregiudizio di e sarà sostituito da qualsiasi strumento generale di resa imposto dalle Potenze Alleate e applicabile alla Germania e alle forze armate tedesche nel loro complesso.
6. Questo strumento di resa è scritto in inglese e in tedesco. La versione inglese è il testo autentico.
7. La decisione delle Potenze Alleate sarà definitiva se qualsiasi dubbio o disputa sorgessero riguardo il significato o l'interpretazione dei termini della resa.

Hans GEORG von FRIEDBERGKINZELG. WAGNERB. L. MONTGOMERY FieldMarshal POLECK FRIEDEL
4 Maggio 1945 ore 1830» (Fonte).

5 maggio 1945:
«Il 4 e il 5 maggio si arrendevano agli anglo-americani le truppe tedesche in Olanda, Danimarca, Germania nord occidentale e Baviera orientale» (Fonte).

6 maggio 1945: «Il 6 la città di Breslavia, in Slesia, si arrendeva dopo oltre due mesi di assedio» (
Fonte).

7 maggio 1945: «Oltre alla capitolazione delle singole unità tedesche, avvenuta tra il 4 ed il 13 maggio ad eccezione delle truppe in Italia che avevano capitolato il giorno 29 aprile, la resa ufficiale della Germania veniva firmata il 7 maggio 1945, dal colonnello generale Jodl e dal generale ammiraglio von Friedeburg a nome del Grande Ammiraglio Donitz, presso i! comando alleato del fronte occidentale a Rheims, davanti ai rappresentanti militari delle potenze vincitrici» (
Fonte). «Il 17 maggio si arrendevano poi gli ultimi sommergibili in missione di guerra (avevano silurato navi nemiche fino al giorno 5). Con il crollo totale della Germania, dopo quasi sette anni di lutti e di rovine, aveva termine la guerra in Europa» (Fonte).

• «La concessione del Presidente del Reich Donitz al Colonnello Generale Jodl di concludere una resa generale:
Quartiere Generale il 6 Maggio 1945.
Io autorizzo il Generale J o d l , Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht, alla conclusione di un cessate il fuoco presso il quartiere generale del comandante Eisenhower .

[Sigilli]
DONITZ
Grande Ammiraglio .

Solo la versione inglese e russa di questo testo fa fede di documento autentico.
Atto Di Resa Militare
1. Noi sottoscritti, agendo da autorità dell'Alto Comando tedesco ci arrendiamo col presente atto incondizionatamente al Comandante Supremo, delle Forze di Spedizione Alleate e simultaneamente all'Alto Comando sovietico con tutte le forze di terra, mare e aria che a questa data sono sotto controllo tedesco.
2. L'alto comando tedesco subito pubblicherà ordini per tutte le autorità militari, navali e aeree e per tutte le forze sotto controllo tedesco di cessare operazioni attive alle ore 23.01 tempo europeo e Centrale dell'8 Maggio e di rimanere nelle posizioni occupate a quel tempo. Nessuna nave, vascello o aereo deve essere occultato o qualsiasi danno fatto al loro scafo, macchinari o equipaggiamento.
3. L'Alto Comando tedesco subito li invierà al comandante competente e assicurerà l'esecuzione di qualsiasi ordine ulteriore pubblicato dal Comandante Supremo delle Forze di Spedizione Alleate e dall'Alto comando sovietico.
4. Questo atto di resa militare è senza pregiudizio a e sarà sostituito da qualsiasi strumento generale di resa imposto da, o per conto delle Nazioni Unito e applicabile alla Germania e alle forze armate tedesche nel loro complesso. 5. Nell'eventualità che l'Alto Comando tedesco o alcune delle forze sotto il suo controllo non riescano ad agire in concordanza con questo Atto di Resa, il Comandante Supremo delle Forze di Spedizione Alleate e il l'Alto Comando sovietico decideranno azione punitiva o altra misura da loro ritenuta opportuna.

Firmato a RHEIMS alle 02.41 del 7 Maggio, 1945.
Francia

Per conto dell'Alto tedesco.
JODL

In Presenza Di

Per conto del Comandante Supremo delle Forze di Spedizione Alleate, W. B. SMITH. Per conto dell'Alto Comando sovietico SOUSLOPAROV
F SEVEZ, Maggiore Generale dell'Esercito Francese (Testimone)

Comando Supremo, Forze di Spedizione Alleate
SERIE 1
Ordini del Comandante Supremo delle Forze di Spedizione Alleate relativi all'esercito e alle forze aeree sotto controllo tedesco

1. I Comandanti locali dell'Esercito e aeronautica militare sotto controllo tedesco sul Fronte Occidentale, in Norvegia e nelle Isole del Canale si terranno pronti a ricevere ordini particolareggiati per la resa delle loro forze dai comandanti subalterni del Comandante Supremo opposti sul loro fronte.
2. Nel caso della Norvegia i rappresentanti del Comandante Supremo saranno l'Ufficiale Generale Comandante in Capo, Comando scozzese e Ufficiale dell'aria che comanda il 13° Gruppo RAF.
3. Nel caso delle Isole del Canale i rappresentanti del Comandante Supremo saranno l'Ufficiale Generale Comandante in Capo, Comando Meridionale e Ufficiale dell'Aria che comanda il 10° Gruppo RAF.

WALTER B SMITH Firmò.................... Per il Comandante Supremo, RAF.


Datato 02.41 7 Maggio, 1945 Rheims Francia» (
Fonte).

9 maggio 1945: «Il 9, a Berlino, si arrendeva anche il Coniando Supremo della Wehrmacht. Lo stesso giorno capitolavano Lorient, Saint-Nazaire, La Rochelle e le Isole Normanne» (
Fonte).

10 maggio 1945: «Mein Heimatort Gießhübel war von den Kriegsereignissen verschont geblieben. Erst am 10. Mai 1945 – zwei Tage vor der Kapitulation – wurde unser Städtchen von den Russen besetzt. Mit dem Einmarsch der Sowjetsoldaten begannen für die Bevölkerung Schreckenstage. Es erfolgten Einquartierungen. Soldaten drangen auch gewaltsam in Häuser ein und verlangten Speisen und Getränke. Frauen wurden vergewaltigt, Mädchen versteckten sich auf Dachböden und in Kellerräumen, um den Nachstellungen der Rotarmisten zu entgehen; es kam zu Plünderungen. Männer wurden abgeholt und zu Arbeiten für das Militär herangezogen, doch niemand wusste, ob sie jemals wiederkehrten. Man wagte sich nicht auf die Straße…»

Traduzione italiana: «Il mio luogo di nascita Gießhübel [in Turingia] era stato risparmiato dagli eventi della guerra. Solo il 10 maggio 1945 – due giorni prima della capitolazione – la nostra cittadina fu occupata dai russi. Con l’ingresso dei soldati sovietici iniziarono per la popolazione giorni di terrore. Ebbero luogo gli acquartieramenti. I soldati entrarono anche in modo violento nelle case e chiedevano da mangiare e da bere. Le donne furono violentate, le ragazze si nascondevano nelle soffitte per sottrarsi alle insidie dei soldati rossi; vi furono saccheggi. Gli uomini furono prelevati e costretti a lavori per l’esercito, ma nessuno seppe se sono mai ritornati. Nessuno osava andare in strada… » (Fonte).

• viene arrestato a Bolzano il Ten. Col. Herbert Kappler. Fonte.

1919, maggio: Trattato di pace con la Germania a Versailles

Versione 1.0

Leggi i seguenti links:
1. Un preludio alla seconda guerra mondiale.

1947, 10 febbraio: Trattato di pace con l’Italia

Versione 1.0

Leggi i seguenti links:
1. Fu un'imposizione unilaterale degli Alleati, altro che Liberazione!. Nel link si può trovare anche il testo completo, in lingua inglese, del Trattato.

domenica, dicembre 23, 2007

Ilan Pappe storico anticonformista

Versione 1.0

In questa pagina mi propongo di raccogliere notizie su Ilan Pappe, ovvero di studiarne l’opera storica che per quanto mi sembra corrisponde alle visione delle cose che mi sono fatto riguardo la fondazione dello stato di israele e la sorte delm popolo palestinese.

(segue)

domenica, settembre 09, 2007

La mania dei documenti

Sto proseguendo nella lettura del recentissimo libro di Peter W. Galbraith, La fine dell’Iraq, apparso da pochi giorni in traduzione italiana presso Mondadori. L’originale inglese è dello scorso anno, cioè del 2006. Al pari di altri libri che sto pure leggendo, è frequente l’impulso a scrivere annotazioni critiche via via che legge. Ma ciò può significare che non arriverò all’Ùltima pagine del libro in lettura sequenziale. Tuttavia, voglio qui fare una di queste annotazioni.

L’autore ha passione da archivista. Si preoccupa di raccogliere tutti i documenti che possono poi servire ad imbastire il solito processo per genocidio da infliggere al nemico vinto, ovvero per fornire motivazioni adatte ad orientare le opinioni pubbliche a favore di un intervento militare contro questo o quello stato, detto “canaglia” con grande sofisticazione scientifica. Si tratta chiaramente di una carità “pelosa” e di un ulteriore mezzo bellico: la “diffamazione”, fondata o infondata che sia, dell’avversario, o meglio del “nemico” di turno, magari fedele alleato, appena il giorno prima.

Da quale pulpito viene la predica, il sermone morale? Basta una elementarissima conoscenza della storia degli USA per chiedersi: a) della sorte degli indiani d’America; b) della tratta dei negri e della discriminazione razziale fino ai nostri giorni; c) lo statuto morale della distruzione di Hiroshima e Nagasaki. Nessun processo è stato mai imbastito contro gli USA, che invece si ergono a moralisti e giudici del mondo intero.

In Medio Oriente stanno recitando il copione scritto per l’Europa prima e dopo il 1945. Chiaramente, il Medio Oriente non è l’Europa. Ma ciò che gli USA, in stretta intesa con Israele, ci è molto utile a ben vedere per capire cosa è stato fatto a noi europei e cosa siamo in conseguenza di ciò che a noi è stato fatto. Qui mi rendo conto che le valutazioni si divaricano, ma qui fermo anche questa mia estemporanea riflessione in margine al libro di Peter W. Galbraith.

mercoledì, settembre 05, 2007

1639: trattato di pace di aqasr-e-Shirin fra ottomani e persiani.

Evento: «Da quando, con il trattato di pace di Qasr-e-Shirin del 1639, ottomani e persiani concordarono una linea di demarcazione tra i loro due imperi, tale linea, che ora segna il confine tra Iran e Iraq, ha sempre separati i persiani dagli arabi, ovvero i paesi governati dagli sciiti da quelli guidati dai sunniti» (Peter W. Galbraith, La fine dell’Iraq. Come gli Stati Uniti hanno distrutto il paese che intendevano liberare, Milano, Mondadori, 2007, p. 9).

sabato, luglio 28, 2007

Una recensione della recensione: la solita paccottiglia. Elia Valori recensito da Alain Elkan.

Non ho trovato il libro nella libreria Feltrinelli sotto casa, ma da quanto ne dice Alain Elkan su “La Stampa” di oggi 28 luglio 2007, alla pagina VI dell’inserto Tuttolibri, non dubito che il libro di Giancarlo Elia Valori rientri in quel vasto filone di paccottiglia che sta inondando il mercato, credo forse come una campagna preparatoria per nuove avventure belliche in Medio Oriente. Alla vigilia dell’ultima guerra contro l’Iraq si era messa in circolazione la bugia degli inesistenti armanenti di Saddam. Per quanto riguarda la prima guerra erano stati invece taciuti alcuni fatti che si trovano nei documenti ufficiali dell’ONU e che riguardano territori e proventi petroliferi che il Kuwait avrebbe dovuto restituire all’Iraq alla fine della guerra con l’Iran. Ormai, la stampa quotidiana su carta stampata è qualcosa della quale occorre sistematicamente diffidare quanto più alta è la sua tiratura e la sua capacità di diffusione. La verità delle cose – per chi è amante di conoscerla – occorre andarla a trovare in piccoli anfratti. La recensione di Alain Elkan non è per nulla una recensione, cioè una lettura critica del libro. È un’inserzione pubblicitaria che appena serve a richiamare l’attenzione sul libro, di cui si vuol favorire la diffusione libraria. Poiché mi dicono che vi è addirittura un capitolo su Carl Schmitt, vi ritornerò sopra appena lo avrò fra le mani e me ne occuperò nel mio blog “Carl-Schmitt-Studien”.

Qui mi limito solo ad alcune osservazioni del recensore, che sono forse ancor prima sue che dell’autore del libro recensito. La solita solfa sull’antisemitismo, che viebe presentato come una colpa dell’intera umanità verso il popolo ebreo, dando per scontato che gli ebrei non abbiano nessuna colpa verso tutti gli altri popoli esistiti lungo della loro storia. Una comune osservazione di comune buon senso porta a formulare questa semplice domanda: Ma perché nel corso di almeno tre mila anni, prima e dopo di Cristo, tutti hanno sempre dimostrato per lo meno antipatia verso gli ebrei? Un’antipatia che spesso si è manifestata in forme ben più consistenti di quanto non sia una semplice non corrispondenza di amorosi sensi. Possibile che gli ebrei stessi non abbiano nessun neo che abbia potuto renderli a molti odiosi nel corso di tremila anni? Credo che la risposta sarebbe più interessanti di quanto Valori possa dire. Inoltre in 3000 anni di antisemitismo quello specificamente nazista credo che si collochi storicamente negli anni della seconda guerra mondiale all’interno di un contesto ben più grande e tragico di quell’evento che gli autori ebraici vogliono considerare di rilevanza cosmica, adottando perfino una terminologia religiosa che ha ben poco da invidiare ad alcune limitate reazioni musulmane a seguito di citazioni irriverenti dei testi coranici o vignette satiriche. Tutta la storia ultramillenaria dell’antisemitismo viene collocata nella nicchia nazista. In realtà si è trattato di un’operazione politica sulla base della quale alla Germania postbellica ed ai popoli europei vinti, ad Est ed Ovest, si è spillato e si continua a spillare una quantità enorme di denaro, senza il quale non si potrebbe parlare di «miracolo economico» israeliano.

La solfa continua con il paventato timore di un nuovo antisemitismo, mai sopito. Del resto, semiti sono anche gli arabi e semmai dovrebbe parlarsi di antigiudiaismo, cioè di una reazione insofferente verso il solo popolo o comunità ebraica. A mio avviso, non esistono per nulla i pericoli che hanno portato agli orrori della guerra civile europea, di cui hanno sofferto non solo gli ebrei, che non possono in alcun modo pretendere al “monopolio del dolore”, ed ai relativi conforti, spesso di carattere economico. Si è passati da un’indubbia emarginazione e discriminazione quale vi è stata in tutti i paesi d’Europa, Russia compresa, ad una situazione di iperprotezione e di privilegio. Ed il privilegio rende spesso odiosi. Io credo che se oggi antisemtismo vi è, questo non abbia niente a che fare con quello che è stato l’antisemitismo nazista, una goccia nel mare dell’antisemitismo durato tre mila anni. Si tratta piuttosto di una comprensibile reazione a posizioni di privilegio ed iperprotezione, quando non addirittura di sopraffazione come nel caso della occupazione israeliana di terre arabe. Ma qui entriamo nella dinamica di una guerra che dura da almeno 60 anni e che non accenna a spegnersi. Ormai credo che dobbiamo abituarci al concetto di guerra permanente, che si combatte anche nelle retrovie nel campo dei media e dell’educazione delle nuove generazioni da plasmare in modo “politicamente corretto”. Proprio l’altra sera ho potuto assistere, nell’allestimento di un pubblico spettacolo, di uno scoppio di espressioni certamente non gentili verso i calabresi. Mi son subito detto: se al posto di calabresi, si fosse trattato di ebrei, qui sarebbe scoppiato il finimondo. Come calabrese che ha captato l’insulto ho reagito e propestato. Il proprietario mi ha chiesto scusa per le parole del suo dipendente, ma io ormai mi ero perso la voglia di godermi lo spettacolo pagato con il denaro dei calabresi.

lunedì, luglio 09, 2007

Il regno di Aratta: una retrodazione delle più antiche civiltà esistite

Da La Repubblica del 3 luglio:
il cui testo è tutto da studiare:

* * *

Un pool di archeologi è convinto di avere scoperto i resti della mitica città
Gli scavi hanno riportato alla luce delle tavolette incise prima dei sumeri

Tra le rovine del regno di Aratta
la scrittura più antica del mondo

In Iran riemerge una civiltà sepolta: potrebbe cambiare la storia
di VANNA VANNUCCINI


Tra le rovine del regno di Aratta
la scrittura più antica del mondo" width="280">

Un reperto archeologico di Jiroft

JIROFT (Iran Sud Orientale) - "Gilgamesh sii il mio amante! Fammi dono della tua virilità! Quando entrerai nella nostra casa la soglia splendidamente dorata bacerà i tuoi piedi". Così Ishtar, la dea dell'amore, si rivolge al leggendario re di Uruk nel più famoso poema epico lasciatoci dai sumeri.

"Splendidamente" è scritto nella traduzione, ma la parola sumera è arattù, ovvero alla maniera di Aratta. Aratta era per i sumeri simbolo di eccellenza, il topos di tutti i miti come Troia lo fu per quelli dell'Asia Minore. I poemi sumerici ne parlano come di una città magica, "distante sette montagne", in cui viveva un sovrano che in alcuni testi è "il Signore di Aratta", in altri è chiamato Ensurgiranna.

Gli studiosi si sono affannati a cercare quale luogo geografico potesse corrispondere a questa leggendaria città. Ma finora il mito era rimasto sospeso nel nulla. La singolarità di Aratta infatti è che mentre nelle fonti letterarie vi sono innumerevoli riferimenti alla città e alle sue ricchezze, il nome non compare in nessuna delle 450.000 tavolette di argilla arrivate inalterate fino a noi, nelle quali i sumeri diligentemente registravano scambi commerciali, elenchi dei tributi ricevuti dai sudditi, derrate agricole o editti dei re. Non può essere un caso, sostengono quegli archeologi che ormai si erano convinti che Aratta non fosse mai esistita.

Ma uno scavo recente potrebbe aver riportato alla luce il mitico regno. Se così fosse, sarebbe la scoperta archeologica del secolo. Una nuova Troia.
Che sia così, è il convincimento dell'archeologo iraniano Yussef Majidzadegh, che con una squadra internazionale (di cui fa parte anche l'italiano Massimo Vidale, archeologo dell'Isiao) guida gli scavi di Jiroft, nell'Iran sud-orientale. Majidzadeh sostiene che Jiroft è la più antica civiltà orientale, precedente di almeno un paio di secoli quella sumerica.

L'archeologo presenterà in questi giorni la sua tesi al convegno internazionale di archeologia a Ravenna. "È venuta alla luce una civiltà complessa, pari o per certi versi superiore a quella sumerica per dimensioni urbanistiche, per l'aspetto monumentale e la raffinatezza delle tecniche artistiche. Questo ci obbliga a gettare uno sguardo nuovo sulla formazione delle civiltà tra il IV e il III millennio", dice Massimo Vidale.

La storia comincia a Sumer, è sempre stato il mantra degli archeologi. Perché a Sumer ha inizio la scrittura. Ma dopo la scoperta di Jiroft questo potrebbe non essere più vero. Nello scavo è stato trovato (finora) un mattone con un testo protoelamico, la cui origine si fa risalire a Susa nel 3000 a. C., e tre tavolette con una scrittura ancora indecifrata. Tuttavia la scrittura non sembra avervi avuto un ruolo predominante come tra i sumeri. Per questo, sostiene l'australiano Daniel Potts, Majidzadeh attribuisce a Jiroft una datazione così antica. Secondo Potts Jiroft corrisponde invece a una città più tarda, di grande ricchezza, Marhashi, la cui esistenza è attestata da diversi testi.

Jiroft è una città nella regione di Kerman nota soprattutto per il suo clima umido, subtropicale. Da Kerman, in macchina, ci si arriva in un paio d'ore. Si abbandona la steppa desertica del Dash-e Lut per salire su una zona montuosa, eccezionalmente fresca e verde, per poi ridiscendere nella valle di Jiroft. Da qui non ci sono più barriere montuose fino allo stretto di Hormuz, e l'aria umida del Golfo Persico arriva senza trovare impedimenti. Agrumeti e palmizi da dattero ne fanno la ricchezza. La fonte d'acqua della regione è il fiume Halil, che scende per oltre 400 chilometri dalle montagne del nord.

Quasi un secolo fa un'alluvione cambiò il suo corso, i vecchi ricordano ancora che i loro nonni raccontavano che il Halil Rud voltò le spalle alla città e se ne andò a 800 metri di distanza. Ma nel 2001, dopo un lungo periodo di siccità, il Halil Rud straripò di nuovo, e questa volta sul terreno eroso dalle acque comparvero veri e propri tesori: monili, offerte funenarie, statuette, vasi di clorite (la tipica pietra locale di colore verde scuro). Il giorno dopo, centinaia di contadini impoveriti da anni di siccità accorrono sulle rive del Halil alla ricerca di oggetti antichi 5000 anni.

Si dividono il terreno, con il consenso delle autorità locali, in lotti di sei metri per sei, uno per ogni famiglia, scavano, tirano fuori oggetti di incomparabile bellezza. Diecimila buche, cinque o sei necropoli interamente saccheggiate, e interamente distrutto quel "contesto" che è fondamentale per gli archeologi per studiare e datare gli oggetti. Dove ci sono i tombaroli ci sono naturalmente anche i mercanti.

Non appena si sparge la voce, intermediari e mercanti arrivano da tutto l'Iran, da Kabul, dal Pakistan - e poi da Parigi, da Londra, da New York. Comprano direttamente dal contadino che scava. Un vaso di clorite scolpito, 50 dollari; una statuetta intarsiata, 100; un'aquila fatta come una scacchiera con pezzi di turchese 150. Si ritroveranno nelle case d'asta europee e americane venduti per centinaia di migliaia di dollari. La passione per "i Jiroft" fa nascere addirittura una produzione di falsi. Anche il Louvre ha acquistato cinque pezzi (veri), di cui il governo iraniano sta cercando ora di tornare in possesso.

Il saccheggio durò un anno. Almeno 10.000 oggetti vengono portati via. Finché l'archeologo Majidzadeh, che aveva insegnato a Teheran prima di trasferirsi in Francia, ottenne dal governo iraniano di cominciare uno scavo sistematico insieme a un gruppo di colleghi di diversi paesi. Ora, ci dice il tassista che ci accompagna all'aeroporto di Jiroft, uno come lui, che ha due ettari di terreno e coltiva cetrioli in serra, non può nemmeno fare una traccia per seminare senza ritrovarsi addosso la polizia.

Ma questo non significa che il saccheggio non continui, più silenzioso e con mezzi più sofisticati. Ai contadini sono subentrati i ben più attrezzati contrabbandieri internazionali, muniti di rilevatori, computer, attrezzature per lavorare di notte. Del resto, come ci fa vedere Ali Daneshi, un giovane archeologo locale lasciato a guardia del sito fino al momento in cui in autunno ricominceranno i lavori, lo scavo guidato da Majidzadeh è solo un inizio: i siti già rilevati sono quasi settecento, in un'area di 400 km quadrati.

Entriamo nello scavo e Daneshi si accorge subito che il vetro blindato messo a protezione di una statua senza testa, alta quasi un metro e mezzo e dipinta di colore ocra giallo e rosso con piccole incisioni nere, è stato rotto. Evidentemente di qui non passa soltanto qualche pasdar solitario di guardia. "Cominciammo a scavare da due collinette, distanti l'una dall'altra 1400 metri" racconta Vidale. "In quella nord è venuta fuori una piattaforma gigantesca a gradoni, uno ziggurat, con una base di 300 metri per 300 e un'altezza di 17 metri. L'intera superficie dell'altra collinetta, 200 metri per 300, si è rivelata una struttura monumentale, costruita su un preesistente accumulo archeologico, circondata da mura larghe 10 metri. Ad est della cittadella trovammo un'altra piattaforma, larga 24 metri, che era il quartiere dei lavoratori del metallo. Insomma siamo di fronte a una città ben strutturata, con la cittadella amministrativa, il tempio, i quartieri residenziali e i luoghi di lavoro".

Nel piccolo museo allestito a Jiroft e catalogato da Majidzadeh, gli oggetti esposti sono stati quasi tutti confiscati ai contrabbandieri, fatta eccezione per una vetrinetta con cinque pezzi ritrovati nello scavo. Vasi di clorite scolpiti con motivi di animali e di piante, soprattutto palmizi, forme umane e creature fantastiche, uomini-scorpioni, uomini-leoni, aquile, serpenti. Gli occhi degli animali carnivori sono tondi, quelli degli erbivori ovali come quelli umani. Ogni oggetto è preziosamente incastonato di turchesi, lapislazzuli, marmo, calcare bianco. In alcuni ci sono straordinarie raffigurazioni stilizzate di edifici, di città, di mura fortificate, che non hanno esempi nel mondo antico. Si può capire come il re sumero Enmerkar, nel poema "Enmerkar e il Signore di Aratta", volesse architetti e decoratori di Aratta per costruire i templi agli dei di Sumer.


(3 luglio 2007)
* * *

giovedì, giugno 28, 2007

Ricordi di un’epoca attraverso la rete. In memoria di Aldo Moro e Franco Tritto.

Versione 1.1

Ho intrapreso la lettura di un libro che mi sembra ben impostato e congegnato, nonché meritevole di essere letto. Credo che lo si posso collocare nel genere “memorialistica”, almeno in parte. L’autore, Pino Casamassima, narra anche fatti di cui fu testimone ed in un certo senso siamo tutti testimoni in quanti compresi in quella generazione. Il libro ha il seguente titolo e sottotitolo: Il libro nero delle brigate rosse. Gli episodi e le azioni della più nota organizzazione armata dagli “anni di piombo” fino ai nostri giorni. L’editore è Newton Compton. Si tratta di un volume di circa 430 pagine ricche di dati e di nomi, che anche io in parte ricordo. Si parla fra l’altro della prima facoltà di Sociologia in Trento. Quando nel 1970 mi sono immatricolato all’università di Roma pensavo con una certa invidia alla possibilità di andare a Trento per iscrivermi ad una facoltà che sembrava di moda. Per fortuna, fu solo la bizzarria di un momento e scelsi un’università ed una facoltà, non fra le ultime d’Italia – la Sapienza – dove potevo recarmi anche a piedi senza costituire nessun aggravio economico per i miei genitori. Ciò che qui mi propongo è di annotare nomi e luoghi mentre procedo nella lettura del libro. Di tanto in tanto cercherò in rete links ed immagini disponibile. Negli anni settanta non esisteva internet e la connessione continua adsl. Oggi esiste ed è un’opportunità di cui faccio ampio uso. Una sorta di quaderno di appunti, dove chiunque che ne abbia voglia, può accedervi. A questo punto non posso non rivolgere un ricordo commosso al mio collega di università di studi, di stanza, di lavoro che in tutta questa storia ha un tragico ruolo. Si tratta di quel prof. Franco Tritto a cui le Brigate Rosse telefonarono per indicare il luogo dove avrebbero potuto trovare il corpo di Moro. Con Franco Tritto eravamo stati insieme studenti al corso di diritto penale con Aldo Moro. Siamo rimasti sempre in contatto in quanto ricercatori nella stessa facoltà, di cui condividevano anche la stessa stanza: filosofia del diritto io diritto penale lui. La stessa scrivania fino a quando nella stessa piccola stanza non si trovò modo di far entrare tre scrivania, una per cattedra. A parte la comune cena con Aldo Moro, al termine del corso di diritto penale, non avevamo mai avuto occasione di incontarci fuori dell’università, ma non ne sentivamo il bisogno perché l’università stessa forniva la più frequente occasione per vederci. La notizia della sua prematura ed improvvisa morte mi giunse in piena estate, mentre ero sulla spiaggia. Mi colse allora il rimorso ed il rimpianto per non averne allora coltivata l’amicizia anche fuori dell’università. La sua vita privata mi è rimasta del tutto sconosciuta. Entrambi, sia pure in modo diverso, siamo rimasti segnati dalla tragedia dell’assassinio del comune “Maestro”. Non trovo purtroppo in rete nessuna foto di Franco Tritto ed io non ne possiedo nessuna. Era molto riservato e diffidava di internet e della posta elettronica.

Sommario:

1.
Tutto comincia da Berkely


«Durante gli ulimi mesi del 1964 l’università californiana di Berkeley è occupata dagli studenti guidati da un ragazzo di chiare origini italiane, Mario Savio. È l’inizio della contestazione» (p. 15).
Mario Savio (1942-1996)

Per la verità il nome Savio non mi ricorda nulla, ma Berkeley si. Da studente che nel 1968 aveva 18 anni cercavo di tenermi informato su quanto succedeva nel mondo. Compravo anche dei libri di attualità, o di cui sentivo spesso parlare, specialmente quelli di Marcuse. I componenti di una stessa generazione comunicano fra di loro più con le emozioni condivise, gli stati d’animo, le speranze, le frustrazioni, e simili irrazionalità che non nelle forme del linguaggio e del discorso formalmente elaborato e costruito. Solo molto tempo dopo gli eventi si riesce a dare una forma logica alle esperienze vissute o anche lontanamente condivise. Ma anche in queste caso le costruzioni che ne vengono fuori possono essere arbitrarie e le realtà può essere diversa o restarne largamente fuori. Altro è la vita nel suo svolgersi, altra la ricostruzione mentale del vissuto, del passato.

«È l’inizio della contestazione. Il vento che soffia dalle coste della California arriva in Europa due anni più tardi, e l’Italia è il primo Paese del vecchio continente a esserne scosso: il 9 febbraio del 1966 a Milano vengono arrestati due anziani tipografi e sei giovani, studenti e lavoratori. La principale imputazione che grava su alcuni di loro è quella di aver diffuso volantini a favore dell’obiezione di coscienza, istigando quindi i militari alla disobbedienza» (p. 15-16).


Per la verità io il termine “contestazione” l’ho sempre trovato strano e libresco. Se devo definire la mia condizione spirituale di quegli anni io non mi definisco un “contestatore”, termine che mi occorre prima tradurre per capire cosa significhi propriamente. Deve essere stato coniato dai giornalisti o da qualche sociologo e sarebbe interessante un’indagine linguistica analoga a quella che ho visto svolgere, stucchevolmente e inutilmente, nel corso del recente megalitico convegno paneuropeo-episcopale, dove ho sentito analisi linguistiche del “catechismo” e della scrittura di Sant’Alfonso. In quegli anni frequentavo ancora la parrocchia. La mia “contestazione”, dopo la lettura de L’essenza del Cristianesimo, di Feuerbach fu un formale atto di abiura che attaccai sul crocefisso in sacrestia. Cessò quindi il mio impegno nell’Azione Cattolica, anche se conservai sempre l’amicizia con non pochi sacerdoti ed il rispetto che avevo verso di loro.

Links e note:
1. I due anziani tipografi. Credo che a questa fonte abbia attinto a piene mani il nostro Pino. Le parole sono quasi le stesse. Se così è, andava fatta una nota di rinvio. Ai miei studenti insegno che si può citare anche da internet. Credo che la massa di dati già oggi disponibile in rete superi di gran lunga quanto è possibile ricavare da qualsiasi biblioteca privata, per quanto ben fornita essa sia. Volevo trovare qualcosa di più preciso su questi due anziani tipografi ed i nomi degli arrestati giovani.

2. Wikipedia: Mario Savio. Mi impressiona l’anno della sua morte: il 1996, all’età di 54 anni. Pur non sapendo nulla lui, mi immagino una vita tragica.

3. Fonte iconografica: Berkeley 1964. La foto che si vede sopra con Mario Savio in mezzo alla folla è del 1° ottobre 1964. La foto originale ha una didascalia alla quale si rinvia.

(segue)

domenica, giugno 24, 2007

Testo dell’Intervista a faurisson a cura di Claudio Moffa in data 17-19 aprile 2007

Versione 1.2

Ne riporto integralmente il testo che mi riservo di studiare e commentare.

* * *

Teramo 17-19 aprile 2007

INTERVISTA A ROBERT FAURISSON

a cura di Claudio Moffa
(e di altri)



D: Domenica 18 Marzo 2007, vi ringraziamo per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Potete presentarvi?

F: Bene, mi chiamo Robert Faurisson ho 78 anni, sono stato professore universitario e ho insegnato alla Sorbona e all’Università di Lione. La mia prima specializzazione è stata in letteratura francese e in seguito in quella disciplina che si chiama “critica dei testi e documenti”, di letteratura, di storia e dei mass media. Vale a dire come leggere un documento, guardare un’immagine e così via. Perché in genere si crede di saperlo fare, ma non è affatto vero, bisogna imparare.

D: Voi siete considerato da tutti e da molto tempo come un cosiddetto negazionista delle camere a gas. Come siete arrivato a ottenere questo status?

F: Mi si tratta in effetti da negatore o negazionista, ma sono parole che non amo affatto perché io non nego nulla. Semplicemente in base alle mie ricerche sono giunto alla conclusione che quelle che si chiamano camere a gas naziste non sono mai esistite, ed aggiungo che non sono mai potute esistere, per ragioni d’ordine fisico e chimico. Ma permettetemi di spiegarvi il mio metodo di lavoro...

D: Sì, esponeteci il vostro metodo di lavoro, anche in rapporto con la vostra attività di critico di testi letterari.

F: Bene, all’inizio mi sono accorto che la maggioranza di noi non sa leggere con attenzione: ci lasciamo ingannare dalle immagini, non siamo molto attenti al testo scritto o alle intenzioni che ha chi scrive. Quando ascoltiamo persone che si dicono testimoni, non sappiamo distinguere il vero dal falso. Quindi, dopo l’analisi di testi letterari sono passato alle questioni storiche, e in particolare a ciò che si chiama Olocausto. Ecco il mio metodo: se ho a che fare con un grande tema come l’Olocausto vado a cercare il centro, e una volta trovatolo, cerco il centro del centro. Se voglio sapere se realmente c’è stata l’intenzione da parte della Germania nazista di sterminare fisicamente gli ebrei d’Europa io vado a cercare quello che chiamo il centro: il campo di Auschwitz. In quel campo, dove c’erano forni crematori, e in questo non c’è nulla di criminale, c’erano anche – si dice – delle camere a gas per l’esecuzione delle persone. Se permettete, vi dico prima la mia conclusione, spiegando poi come vi sono giunto. La mia conclusione è che non è mai esistita una politica di sterminio degli ebrei. Gli ebrei hanno sofferto molto, gli europei li hanno messi nei campi di concentramento, ed è vero che un gran numero di loro è morto ed è stato ucciso, ma il punto è se realmente sia esistita in questi campi di concentramento l’arma di distruzione di massa delle camere a gas. Ecco dunque che io ho proceduto così: non proprio come un professore, ma piuttosto come un ispettore o un poliziotto di una squadra anticrimine. Se dite che i tedeschi hanno usato le camere a gas, fate una terribile accusa e la mia domanda è: dove sono le prove? ... e non intendo false prove ma intendo prove come quelle che si usano in un’inchiesta di polizia tecnica o scientifica. Mi seguite bene?

D: Si, vi seguo bene...

F: Bene, per la mia indagine vado allora sul luogo, ad Auschwitz a Majdanek o Dachau o in altri campi, e semplicemente chiedo: mostratemi ciò che chiamate camera a gas. Ho scoperto, nel corso di questa indagine, che sono tutti assolutamente incapaci di mostrarmi l’arma del crimine, e qualche volta mi si dice: non è una cosa sorprendente perché i tedeschi, comprendete bene hanno distrutto tutto. A questa affermazione rispondo che, ammettendo che abbiano eliminato le prove - e questa è una seconda accusa - ammettendolo, potete riprodurmi un disegno tecnico per spiegarmi come funzionava una camera a gas?

D: Vorrei che precisaste una cosa, in che anno avete fatto questa scoperta?

F: Ho cominciato ad interessarmi all’argomento negli anni ’60 ed ho quasi “consacrato” la mia vita alla “questione dell’Olocausto” dal 1974 in poi.

D: Volete dunque dire che fino agli anni ’60 nessuna inchiesta di polizia scientifica è stata fatta nei confronti di questo crimine orribile, e che perciò senza averne certezza e conferma sono state non solo accusate, ma anche condannate delle persone per la distruzione degli Ebrei di Europa, e per l’eliminazione fisica di 6 milioni di ebrei?

F: La mia risposta vi sorprenderà ma fino agli anni ’60 non c’è stata nessuna vera perizia, salvo negli anni ’50, quando una volta si concluse che quelle che si chiamano camere a gas tali non erano. Nonostante questo, fino al 1974, ed anzi fino ad oggi che siamo nel 2007, la Germania è stata accusata di un crimine enorme. Allora quello che io dico è: vi voglio credere, ma portatemi una perizia criminale. Quando mi dite “qui ad Auschwitz ciò che visitate è una camera a gas” io dico: un attimo, io vedo una stanza inoffensiva, vedo allo stesso tempo delle impossibilità tecniche perché questa sia una camera a gas ... ebbene ... datemi delle prove, datemi insomma ciò che un qualsiasi poliziotto anticrimine tirerebbe fuori.

D: Potete descriverci il modo in cui avete proceduto nella vostra indagine?

F: Quando ho detto “mostratemi una camera a gas”, non sono stati in grado farlo, quando ho detto mostratemi una perizia non sono stati capaci di farlo, quando ho chiesto datemi delle prove, mi hanno fatto vedere essenzialmente una confessione di uno dei 3 comandanti di Auschwitz, Rudolf Hoss, da non confondere fra l’altro con Rudolf Hoess. In effetti, perciò, noi abbiamo una confessione, ma a priori una confessione non è una prova, è una sorta di testimonianza, peraltro di bassa categoria, poiché é un vinto che confessa un crimine al vincitore. Hoss dice che c’era una grande camera a gas dove poter mettere 1000, 2000, 3000, o addirittura 4000 ebrei. In questa camera si versava attraverso 4 buchi lo Zyklon B, la gente dentro cominciava ad urlare e quando non si sentivano più le grida si capiva che erano morti: ecco allora che una squadra speciale, costituita da ebrei, metteva in moto un apparecchio di ventilazione ed entrava immediatamente, magari fumando o mangiando, prendeva i cadaveri li portava fuori, e poi verso i forni crematori per incenerirli. Ebbene tutto questo è assurdo.

D: Perché sarebbe assurdo?

F: E’ assurdo perché lo Zyklon B, un prodotto inventato agli inizi degli anni ‘20 e creato come pesticida, è un prodotto estremamente violento: è composto di acido cianidrico ed ha come caratteristica particolare quella di attaccarsi fortemente alle superfici, e di penetrare nella pelle cosicché é estremamente difficile sbarazzarsene. Lo Zyklon penetra sia nelle pareti e nei mattoni che nel corpo umano, e soprattutto se la superficie è viva, la miscela agisce restando attiva, per cui se mi si dice che la gente poteva entrare addirittura mangiando, vuol dire prima di tutto che non portavano delle maschere a gas; se poi mi si dice che fumavano, questo non può essere, perché l’acido cianidrico è altamente esplosivo. Infine è impossibile toccare cadaveri di gente uccisa dall’acido cianidrico.

D: Dite che la gente muore a causa dell’acido cianidrico ma che questo non muore con le persone uccise, e anzi continua a fare vittime?... Ma per quanto tempo agisce?

F: Il tempo per “sgassare” un locale varia da più ore fino a 24 ore ma in genere è di 21 ore. Ma stiamo parlando di materia morta, di cadaveri, mentre in caso di materia viva è difficile stabilirlo, anche se lo si può fare grazie all’esistenza delle camere a gas americane: negli Stati Uniti in alcuni penitenziari giustiziano i condannati con l’acido cianidrico, ed è li che ci si rende conte che la camera a gas porta orribili complicazioni.

D: Avete visitato una camera a gas americana?

F: Sono andato a visitare, al fine della mia inchiesta, una camera a gas a Baltimora, ho delle foto che potrei mostrarvi. Non sono molto buone, ma ecco qui potete vedere la porta d’entrata di una camera a gas (mostra l’immagine da un libro, ndt)

D: Potete dirci cosa avete visto in una camera a gas americana?

F: Già negli anni venti Trenta e Quaranta una camera a gas americana per compiere l’esecuzione di un solo prigioniero, è un abitacolo isolato con vetri molto spessi. Quel che è difficile non è uccidere il condannato, ma entrare nella camera e ritirare il cadavere, ecco perché é assolutamente necessario avere questo tipo di porta (mostra la foto ndt): bisogna essere sicuri che la stanza sia ermetizzata, perché se l’acido cianidrico esce fuori, tutte le persone lì vicine rischiano di morire. Per cui all’interno si crea una depressione, si inala il gas nella stanza e siccome il gas resta attivo, subito dopo che il condannato è morto si mettono in moto dei ventilatori orientabili. In questo modo si scaccia l’acido cianidrico verso l’alto, forse posso mostrarvelo (mostra l’immagine ndt): ecco, vedete c’è un sistema di aspirazione che è diretto verso un miscelatore che ha il compito di neutralizzare il gas. Ciò che alla fine rimane viene immesso in un camino molto alto della prigione, al quale le guardie, una volta avvenuta l’esecuzione non possono avvicinarsi, il che indica quanto questo procedimento sia pericoloso. Solo dopo molto tempo un addetto e due aiutanti muniti di maschera a gas e ben protetti, entrano nella stanza e lavano il cadavere con molta attenzione, nonostante il corpo resti ancora pericoloso. Per cui a questo punto capite la potenza dell’acido cianidrico. E all’opposto ecco (mostra l’immagine ndt) ciò che si chiama ad Auschwitz camera a gas: noterete che c’è una porta ordinaria, un’altra semplice porta di legno con una vetrata che si apre verso l’interno dove ci sarebbero stati i cadaveri. Insomma per farla breve... ci sono delle grosse difficoltà.

D: Si tratta di difficoltà o di impossibilità?

F: Bene, questa è esattamente la parola giusta. Io dichiaro l’impossibilità tecnica.

D: Potete spiegarci in che occasione avete dichiarato pubblicamente che si tratta di una impossibilità tecnica? E cosa è successo?

F: Quando sono arrivato alla conclusione che di quest’arma straordinaria non si poteva dimostrare l’esistenza, né il funzionamento, e quando poi ho scoperto che era tecnicamente impossibile, allora su un giornale molto conosciuto della Francia, “Le Monde” sono riuscito a pubblicare nel 1978 un articolo dove scrivevo: «Ascoltate, è impossibile (che abbiano usato le
camere a gas ndt) o se è possibile spiegatemi come». Ho aspettato credo 6 settimane e alla fine ho visto un articolo su “Le Monde” dal titolo Dichiarazione di alcuni storici.

D: Avete fatto un’inchiesta di tipo poliziesco e avete ricevuto una risposta da storici?

F: Esatto, ho avuto la risposta da 34 storici che mi hanno risposto, e qui ascoltatemi bene perché é uno straordinario esempio di bestemmia professionale: «non bisogna domandarsi come tecnicamente tale sterminio di massa sia stato possibile, è stato possibile perché c’é stato». In parole povere questo vuol dire: Signor Faurisson non siamo capaci di rispondere alle sue domande, taccia. Questo accadeva il 21 Febbraio 1979 e a tuttoggi 18 Marzo 2007 io non ho ancora ricevuto una risposta.

D: Al suo lavoro cos’è successo?

F: Per quanto riguarda il mio lavoro la mia carriera è stata stroncata. In seguito ho subito ripetute aggressioni fisiche e ci sono stati tantissimi processi contro di me.

D: Processi su quale base?

F: Mi hanno accusato di essere un antisemita, un razzista. Quello che dico io è: scusate un attimo, se questo bicchiere (mostra un bicchiere con dell’acqua ndt) non può contenere un litro d’acqua e ci sono mille testimonianze che invece mi dicono «l’abbiamo visto contenere un litro d’acqua», allora per me sono mille testimonianze matte. Quindi in un primo momento mi hanno perseguitato dicendomi d’essere un crudele razzista, un cattivo antiebreo e così via, e poi sono passati a livello giudiziario. Ma nel 1983 una Corte d’appello ha deciso che il mio lavoro sull’Olocausto era talmente serio che tutti avrebbero dovuto avere il diritto di dire che le camere a gas non sono esistite: decisione presa da una corte di Parigi, il 26 Aprile 1983. Devo dire che non sono stato condannato perché parliamo di un tabù, non si può far tacere una persona che dice una cosa simile, e però mi hanno detto: «siete molto serio nel vostro lavoro ma anche molto pericoloso, non avete rispetto per le sofferenze delle persone». La decisione della Corte d’Appello del 1983 ha avuto un seguito nel 1990: le organizzazioni ebraiche hanno annunciato di non poter più aver fiducia nella magistratura francese perché c’era il rischio che si lasciasse il signor Faurisson libero di dire quello che voleva, visto che essa affermava il diritto di dire che le camere a gas non sono esistite. A questo punto, per loro c’era bisogno di una legge speciale, hanno combattuto duramente e alla fine l’hanno ottenuta.

D: E cosa dice questa legge?

F: Dunque, questa legge che è del 1990, dice che «chi contesta i crimini contro l’umanità definiti e puniti dal tribunale di Norimberga nel ‘45-’46 è perseguibile con una pena che va da un mese ad un anno di carcere, a un pagamento di 45.000 euro e altro ancora». Io sono stato condannato in nome di questa legge, chiamata “legge Gayssot”.

Photo de groupe. (de gauche à droite) Michel Duffour, Jean-Jack Queyranne, Catherine Tasca et Jean-Claude Gayssot à la sortie du Conseil des ministres, le 29 mars 2000.

D: Perché si chiama legge Gayssot?

F: Prende il nome del deputato comunista che la propose e ne chiese l’approvazione, anche se alle sue spalle c’era Laurent Fabius, un deputato ebreo molto importante, diventato primo ministro...


D: Dopo tutto ciò di cui avete parlato, per finire potete dirci a che punto è arrivata la vostra riflessione sulla Seconda Guerra Mondiale?

F: Io vi ho parlato di un solo aspetto essenziale, l’arma di distruzione di massa: come per Saddam Hussein, non mi sembra che ci fossero prove se non immagini o foto...

D: State forse dicendo che l’arma di distruzione di Saddam Hussein è anch’essa irreale come quella di Hitler?

F: Si certo, nella stessa maniera. Ma c’à da dire che ci sono altri aspetti da considerare sull’Olocausto: per esempio Hitler non ha mai ordinato l’uccisione degli ebrei. Ho studiato anche questo, Hitler voleva che gli ebrei si allontanassero dall’Europa, cercava ciò che i tedeschi chiamavano “una soluzione finale territoriale della questione ebraica”, ma questo aggettivo “territoriale” non l’ho sentito pronunciare da altri.

D: Che cosa vuol dire?

F: “La soluzione finale della questione ebraica”: questa formulazione lascia pensare alla sterminio fisico degli ebrei, ma se si re-inserisce il termine “territoriale”, capite bene che l’intenzione della Germania era, dopo la guerra, poiché si ricordi che la Germania stava combattendo una guerra, di trovare un territorio dove gli ebrei si sarebbero insediati. Ma non in Palestina. I tedeschi prima e durante la guerra dicevano ai loro alleati: «Trovate gli ebrei gente meravigliosa? Prendeteveli, ma a una condizione, gli ebrei che libereremo non dovranno andare in Palestina, questo per rispetto di un nobile e valoroso popolo, quello arabo, che ha già
sofferto a sufficienza». Ma arrivo subito alla fine, considerando gli altri aspetti: Hitler non voleva uccidere gli ebrei ma trovare un luogo, come per esempio il Madagascar o l’Uganda, o un territorio russo. Egli non autorizzò l’uccisione degli ebrei, perché era un ebreo. E’ bene dirlo, gli ebrei hanno molto sofferto così come i comunisti, perché lottavano contro il terzo Reich, ma anche i tedeschi hanno sofferto molto, per cui quello che dico a proposito di tutte le guerre è che sono una grande macelleria, il vincitore è un bravo macellaio, e il vinto un cattivo macellaio. Alla fine di una guerra può un vincitore impartire lezioni di “macelleria"? Non dovrebbe piuttosto dare lezioni di diritto, di giustizia e di apertura? Noi dal ‘45 non diamo lezioni di questo tipo al vinto ma aggiungo io - e non sto affatto prendendo le difese della Germania - bisogna capire che è pazzesco sostenere che i nazisti volevano uccidere gli ebrei, e che hanno creato un’arma apposita col risultato di aver fatto 6 milioni di morti, cioè l’equivalente della popolazione Svizzera. E bisogna capire che affermando questo senza prove, accusando Hitler, Himmler e così via, voi accusate anche, ed è ciò che dicono le organizzazioni
ebraiche, le nazioni alleate alla Germania, quelle neutrali come la Svizzera, il Papa, al quale si rimprovera «non ha fatto nulla contro tutto ciò», mentre il Papa li ha aiutati, e non ha mai detto «bisogna massacrarli tutti sistematicamente». Sotto questo profilo anche il Papa diventa un complice, o ancora meglio: andate a visitare i musei ebraici e vedrete che sono accusati anche Roosevelt per non aver bombardato Auscwhvitz, e Churchill, e De Gaulle, e Stalin, la Croce Rossa e tutto il mondo. Rendetevene conto!!

D: Questo discorso può essere usato anche per il popolo Palestinese?

F: Mbeh non si può certo accusare il popolo palestinese per quel che è accaduto nella II guerra mondiale, ma si può comunque dire: «in Palestina abbiamo sofferto tanto, abbiamo conosciuto sofferenze così grandi da aver diritto a leggi speciali: noi vogliamo questa terra e voi non potete rifiutarvi, perché noi abbiamo sofferto troppo».

D: Il popolo palestinese deve soffrire per la redenzione del peccato degli ebrei?

F: No! Non il peccato degli ebrei, ma la sofferenza. Vorrei che fosse molto chiaro che non prendo le difese di nessun vinto ma dico semplicemente che quando si accusa bisogna dare delle prove, e quando sono tutti quanti ad accusare queste prove devono essere numerose e solide, e qui non ci sono prove, né numerose né solide. Allora qui siamo di fronte a quella che viene propriamente definita una calunnia. Quindi cercate di capire i propositi dei miei tanti libri così come quelli di tutti i revisionisti, visto che la letteratura revisionista è di rilievo, anche se bisogna consultarla su internet, perché il nostro è un movimento generale di protesta contro un’immensa calunnia giudiziaria.

D: Grazie Sign. Faurisson

www.mastermatteimedioriente.it

* * *

Una scheda informativa su Pierre Vidal-Naquet

Versione 1.0

Confesso di non sapere chi fosse Pierre Vidal-Naquet, o di averne dimenticato ogni riferimento, fino a quando non ho trovato il suo nome in un manifesto, originato da un gruppo di docenti torinesi guidati da Brunello Mantelli, in cui il suo nome era chiamato a sostegno per giustificare quello che a me appariva un grave atto di censura. È buona norma giustificare con argomenti intrinseci ciò che si vuol fare nel bene o nel male. Ma vediamo dunque chi era costui nei cui nome si giustifica la censura.

Links di partenza:
1. Wikipedia.it. Intanto è morto il 29 luglio 2006. Pace all’anima sua. Mi auguro per lui che sia stato chiamato in causa indebitamente dai firmatari di un manifesto liberticida, partito da Torino. Poiché non ho dubbi sulla natura liberticida e costituzionalmente illegittima dell’iniziativa torinese, a perderci sarà Vidal-Naquet se effettivamente abbia sia pure indirettamente concorso all’ignobile orchestrazione, culminata in veri e propri atti squadristici. La data della morte testimonia del fatto che non può avere nessuna responsabilità per fatti avvenuti il 18 maggio 2007. Storico dell’antichità, solo negli ultimi anni si scaglia contro i negazionisti chiamandoli “assassini della memoria”, termine che mi sembra poco scientifico tanto nella prima quanto nella seconda parte. Sempre negli ultimi anni le sue riflessioni si concentrazione sul mestiere dello storico, su cosa significa essere storici. Al momento, mi viene da pensare che negli ultimi anni della sua vita vi sia stata una perdita di rigore critico. Ma è ancora presto per giudicare. Vediamo se la rete ci consegna altro materiale.

2. Lumi da Jean Bricmont. Dal testo di un intervista a Jean Bricmont, uomo che conduce battaglie per la difesa della libertà di pensiero, possono ricavarsi maggiori lumi a proposito di Vidal-Naquet.
Silvia Cattori: nel quadro della sua riflessione sui principi ed i limiti della libertà d’espressione, si è interessato ad una controversia che ha opposto, alla fine degli anni settanta, il suo amico Noam Chomsky a Pierre Vidal-Naquet. Su cosa si incentrava la controversia, e quali punti di principio riguardanti la libertà di espressione contribuì a chiarire?

Jean Bricmont: non sono sicuro si possa parlare di “controversia“, perché questo suppone posizioni ben definite e io non so bene quali posizioni avesse Vidal-Naquet. Allorché Faurisson, che era professore di letteratura a Lione, ha reso pubbliche le sue vedute sulle camere a gas (sostiene che non sono mai esistite) , è stato rapidamente sospeso dall’insegnamento e perseguitato in modi diversi. Circolava allora una petizione, che chiamava a difendere i suoi diritti, siglata da 500 persone, di cui Chomsky. Questa petizione era neutra per quanto concerneva la validità delle affermazioni di Faurisson; quello che Vidal-Naquet aveva giudicato “scandaloso“ e ciò che aveva portato Chomsky ad un lungo scambio epistolare con Vidal-Naquet era altro. Ma evidentemente, come fa notare Chomsky, allorché si difende la libertà d’espressione di qualcuno, si lascia da parte il contenuto dei testi incriminati. Difendere un’espressione d’opinione non equivale a giudicarla. Discutere del substrato renderebbe d’altro canto impossibile una tale difesa, e non sarebbe che mancanza di tempo per esaminarli, magari perché sono scritti in russo o in cinese. Chomsky ha, d’altro canto, firmato numerose petizioni per dissidenti nei paesi dell’est, sia ignorando i loro punti di vista, sia conoscendoli bene ed essendo in totale disaccordo con essi, ma senza mai, di certo, esprimere la minima opinione a riguardo. In quel caso questo non gli è mai stato rimproverato, almeno in occidente.

Chomsky ha in seguito dato ad uno dei suoi amici dell’epoca Serge Thion – che conosceva a causa della loro comune opposizione alla guerra del Vietnam – uno scritto corto che riprendeva i suoi argomenti in merito alla libertà d’espressione. Gli ha detto di farne quel che voleva. Ma Thion si era, all’epoca, avvicinato a Faurisson e ha messo questo testo come “Avviso“ all’inizio di “Memorie a difesa“ pubblicato da Faurisson per rispondere alle persecuzioni giudiziarie di cui era oggetto. Ciò ha avuto per risultato che Chomsky è stato ostracizzato in Francia per lungo tempo ed in certi ambienti continua ad esserlo.

Poiché Vidal-Naquet si era in principio opposto alle leggi che reprimono la libertà d’espressione, come la legge Gayssot, non si può dire che ci fosse veramente una “controversia“ tra lui e Chomsky. Semplicemente, Chomsky adottava un atteggiamento di principio, che consisteva nel difendere la libertà d’espressione anche per le persone con cui è in disaccordo, mentre Vidal-Naquet esprimeva, al contrario, la sua “indignazione“ in diversi modi, ma senza adottare una posizione ben definita (per esempio in favore della censura). Bisogna dire che questa postura è abbastanza frequente tra i “democratici“ che sono una volta contro la censura e l’altra contro e si oppongono realmente, o – cosa che faceva anche Vidal-Naquet, così come Finkielkraut – che negano che vi sia censura allorché qualcuno è perseguito davanti i tribunali per le sue opinioni.

Dunque Vidal-Naquet non sarebbe altro che un “filisteo”, cioè un ipocrita che assume posizioni di principio a seconda che gli tornino comode o meno.

martedì, maggio 22, 2007

Ariel Toaf, Pasque di Sangue. Una lettura esplorativa.

Mai mi sarei interessato del libro di Ariel Toaf se non fosse stato messo all’Indice e ritirato dal commercio. Me ne sono procurato una copia ed ho iniziato a leggerlo con il solo intento di poterne capire le ragioni all’origine di una così forte opposizione al punto da costringere il suo autore a ritirare il libro dalla commercio e dalla circolazione libraria. Ho sentito che addirittura una copia alla macchia viene a costare 300 euro. Ho assistito in particolare ad una trasmissione televisiva dove si fronteggiavano da una parte uno storico vero, Luzzatto, e la mia cara Fiammetta Nirenstein. Luzzatto ha preso le difese del libro ed ha avvertito la sua interlocutrice Nirenstein che si correva il rischio di produrre così facendo una nuova ondata di antisemitismo.



ARIEL TOAFF

Pasque di sangue
Ebrei d’Europa e omicidi rituali

Società editrice il Mulino
Bologna, 2007 (pp.1-242)


Sommario:

1.
Caratteri generali della storiografia ebraica

La prima osservazione che attira la mia attenzione è il carattere che Toaff dice esser tipico della storia ebraica.
«La quasi totalità degli studi sugli ebrei e l’accusa di sangue si sono concentrati in modo pressoché esclusivo sulle persecuzioni e sui persecutori, sulla loro ideologia e sulle loro presumibili motivazioni, sul loro odio verso gli ebrei, sul loro cinismo politcio e religioso, sul loro astio xenofobo e razzista, sul loro disprezzo per le minoranze. Nessuna o quasi nessuna attenzione è stata prestata agli atteggiamenti degli ebrei perseguitati e ai loro comportamenti ideologici, anche quando essi si confessavano colpevoli delle accuse specifiche di cui erano fatto oggetto. E ancor meno, ovviamente, sono sembrate degne di interesse e di indagine seria le motivazioni di quei comportamenti e di quegli atteggiamenti, che si liquidavano apoditticamente come inesistenti, inventati di sana pianta da menti malate di antisemiti e cristiani esaltati, ottusamente apologeti» (p. 5).
Ed ancora oltre Toaff induce a riflettere al fatto che questo carattere generale della storiografia ebraica è presente non solo in relazione alle “pasque di sangue”, ma su tutto il complesso della storia ebraica:
«Anche in questo caso dobbiamo lamentare un ulteriore esempio dell’appiattimento stereotipico della storia degli ebrei, sempre più considerata come storia dell’antisemitismo, religioso o politico» (p. 5).
Ancora oggi la storiografia ebraica è la storia dei loro persecutori, dei loro carnefici, i quali nella presente congiuntura devono necessariamente essere connotati negativamente. Del nazismo non può pparlarsi che male e sempre e soltanto in relazione alla loro persecuzione antisemita. Capisco che una siffatta impostazione possa dar fastidio a quanti oggi sono interessati principalmente a produrre un costante senso di colpa delle popolazioni europee, che non avrebbero saputo impedire i campi di sterminio, anche se nei campi di sterminio non finirono i soli ebrei.

Storici revisionisti: 4. Carlo Mattogno

Ormai la vicenda Faurisson mi rende sempre più determinato nello studio di tutti i famigerati scrittori che si son guadagnati fama di "negazionisti” o “revisionisti”. Tra questi assai bene mi hanno parlato di Carlo Mattogno per la robustezza e serietà dei suoi studi. Di fronte a tanta ostilità da parte della cultura ufficiale, per resistervi, occorre o esser pazzi oppure molto bravi. Quale che sia il caso, io ritengo che vi debba essere piena libertà e che nessuno debba essere criminalizzato per le tesi che ritiene di voler e poter sostenere.

Links:
1. Articoli di Carlo Mattogno che possono leggersi online:
- 1986: Lo scandaloso “scandalo Roques”;
- 1987: Informazione o disinformazione? Ai lettori di Shalom;
- 1987: L’abdicazione alla riflessione;
- 2005: Come gli storici delegano alla giustizia il compito di far tacere i revisionisti;
Archivio Mattogno

venerdì, maggio 18, 2007

Negazionisti e/o revisionisti: 3. David Irving

Alcuni decenni or sono lessi in un quotidiano l’annuncio di una conferenza dello storico David Irving da tenersi all’Hotel Parco dei Principi in Roma. Pensavo di andarci, ma poi lessi che la conferenza non si sarebbe più tenuta. Infatti, il conferenziere fu bloccato all’aeroporto di Fiumicino e fu rispedito indietro come un pacco postale. Fui molto impressionato per questo evento. Con il passare degli anni pensavo di ricordare male. Nel frattempo lessi di Irving un suo grosso volume su Göring. Cercavo notizie su eventuali rapporti fra Carl Schmitt ed Hermann Göring. Nel libro edito non trovai nulla al riguardo, ma nella prefazione Irving scriveva di non aver utilizzato tutto il materiale che aveva a disposizione. Mi misi perciò in contatto via internet con lui, che mi rispose quasi subito. Mi disse che il materiale che io cercavo era stato da lui consegnato a non ricordo chi, ma mi confermò anche l’episodio dell’aeroporto. Apprendo che oggi in Polonia Irving riceve un trattamento analogo a quello che nello stesso giorno Faurisson riceve in Italia.

Negazionisti e/o revisionisti: 2. Ernst Zündel

Ernst Christof Friedrich Zündel (talvolta citato come Zundel o Zuendel) nacque il 24 aprile 1939 a Bad Wildbad. È stato più volte in carcere per le sue pubblicazioni negazioniste. Nel 1977 ha fondato una piccola casa editrice (Samisdat Publishers) che ha dato alle stampe libri come The Hitler We Loved and Why ("L'Hitler che abbiamo amato e perché") e Did Six Million Really Die? ("Ci sono stati davvero sei milioni di morti?") dell'autore inglese Richard Harwood alias Richrd Verral, documenti che sono fra i più citati testi negazionisti. Attualmente si trova in carcere a Mannheim perché secondo la legge tedesca le opinioni espresse nei suoi libri sono meritevoli di punizione. Da Wikipedia.

Sez. II
Ernst Christof Friedrich Zündel
Sommario:

mercoledì, maggio 02, 2007

La caduta dell’Impero romano

Mi ha sempre affascinato il tema della caduta dell’Impero Romano, per il quale nutrivo la massima ammirazione. Il mondo antico unito sotto un solo Impero di pace e di sicurezza. Le ragioni del suo crollo hanno sempre suggestionato la mia mente. Approfitto adesso di un libro recente che affronta di nuovo l’argomento per studiare io stesso l’argomento con schemi, appunti, tavole cronologiche e quanto altro disponibile in Rete. Il libro cui faccio riferimento è di Peter Heather, con titolo italiano: La caduta dell’Impero Romano. Una nuova storia. Tradotto dall’inglese l’edizione originale è del 2005 e la sua traduzione presso Garzanti del 2006. Dunque dovrebbe essere un libro aggiornato sulle più recenti ricerche. Un primo dato di riflessione:
nel 357 l’Impero era ancora intatto: i 12.000 soldati romani dell’Imperatore Giuliano detto l’Apostata, perché aveva restaurato il culto degli antichi dèi, sconfiggevano un esercito di 30.000 alamanni nella battaglia di Strasburgo. Ma soltanto una generazione più tardi l’ordine romano veniva scosso dalle fondamenta e le armate dell’impero, come scrisse un contemporaneo, “svanirono come ombre”. Nel 376 sulle rive del Danubio, frontiera dell’Impero, arrivò un grosso gruppo di profughi in cerca d’asilo. Caso assolutamente eccezionale nella politica estera di Roma, a quei profughi fu permesso di entrare senza che fossero stati sconfitti.
Cosa successe fra il 357 e il 376? Cercheremo di scoprirlo.

mercoledì, aprile 18, 2007

Appunti sulla guerra arabo-israeliana del 1948

LA PRIMA GUERRA ARABO-ISRAELIANA
E LE SUE CONSEGUENZE

Mi baso sul libro di Massimo Campanini, Storia del Medio Oriente (1798-12005), Bologna, il Mulino, 2007, da cui attingo per una serie di schede liberamente adattate. I precedenti dell’insediamento e della colonizzazione ebraica delle terre arabe non vanno a mio avviso ricondotte alla dichiarazione Balfour del 1917, ma devono essere riportati al 1840, quando Palmerston parlava di “focolare ebraico” pensando ad una porta per le sue merci nell’Impero Ottomano, di cui già da allora si progettava lo sgretolamento. Una politica analoga fu seguita negli stessi anni con la Cina, provocando la poco onorevole guerra dell’oppio (1839-1842). Israele ed il sionismo non avrebbero potuto avere successo se non avessero avuto forti appoggi, prima dell’Inghilterra e fino ad oggi degli Usa, che attraverso Israele perseguano una politica imperiale. Nel groviglio di fatto difficilmente governabili puà essere illuminante seguire il sorgersi e l’affermarsi dello Stato d’Israele, delle sue guerre, della sua ideologia, delle sue allenze.

Sommario: 1.

1.
Antefatto

Gli antefatti della guerra vanno ricercati in avvenimenti accaduti durante e dopo la seconda guerra mondiale. Fu con il 1948 che Israele si pose come Stato, ottenendo il riconoscimento delle principali potenze. Ben Gurion, che sarà il primo presidente del consiglio israeliano (1948-1954), lesse la proclamazione di indipendenza il 14 maggio 1948. Si fece uso della forza e dell’astuzia politica. Ma ciò a mio avviso non fonda ancora una piena legittimazione. Anzi il modo della fondazione dello Stato d’Israele è ancora oggi una ferita aperta nel mondo arabo. L’ideologia biblica che accompagna la nascita dello Stato d’Israele non può ingannare più di tanto né è di alcuna utilità sul piano effettuale la storia degli insediamenti dal 1840 in poi. Questa serve soltanto a retrodatare nel tempo il mito della fondazione, che senza la concatenazione degli eventi bellici della seconda guerra mondiale non avrebbe mai avuto luogo. Campanini: «I sionisti non avevano ostacolato lo sforzo bellico della Gran Bretagna, ma la loro aggressività nei confronti della potenza mandataria della Palestina esplose subitò dopo» (p. 107-108). Vi era stata il 29 novembre 1947 una risoluzione delle Nazioni Unite, che prevedeva una spartizione del territorio e la nascita di due distinti stati, quello israeliano e quello palestinese. Gli israeliani avevano creato due organizzazioni paramilitari dedite al terrorismo: l’Irgun e la banda Stern. Il 6 novembre 1944 venne assassinato lord Moyne, plenipotenziario britannico in Palestina; nell’ottobre 1945 le due organizzazioni militari si allearono con l’Hagana per creare un fronte militare sionista unificato; nel febbraio 1946 vennero colpiti tre aeroporti; nell’aprile 1946 vi fu un attacco a Tel Aviv; nel giugno furono fatti saltare in aria ponti e ferrovie; nell’agosto 1946 si registrò uno spettacolare attentato all’Hotel King David a Gerusalemme, sede del mandato britannico. Vale la pena ricordare che anche questo è terrorismo, ma ai nostri giorni si condanna un determinato terrorismo e si dimenticano gli altri. Ma cerchiamo di scendere in ulteriori dettagli.

2.
L’assassinio di Lord Moyne

Lord Moyne fu assassinato il 6 novembre 1944 al Cairo ad opera di due terroristi della Banda Stern, in ebraico detto anche gruppo Lehi. Ci si opponeva in tal modo al mandato affidato dalla Lega delle Nazioni alla Gran Bretagna per la Palestina. Il mandato era stato costituito nel 1940 ed il personale britannico era già da allora oggetto delle attenzioni della Banda Stern. Non sono chiare le ragioni dell’attentato in quanto specificamente rivolto a Moyne, ma è chiaro il contesto in cui esso avveniva. Nel 1939 il governo britannico aveva redatto un Libro Bianco, dove si constatava la «impossibilità di spartire il territorio palestinese in due parti, sia per motivi logistici che economici e trovatosi di fronte all’impossibilità di ottenere un qualsiasi tipo di avvicinamento tra Arabi ed Israeliani» (Ambrosio) e si annunciava la creazione entro dieci anni di uno Stato sovrano e indipendente di palestina, dove avrebbero dovuto convivere arabi ed ebrei. Il territorio doveva essere diviso in tre zone: una dove sarebbe stato vietato l’acquisto della terra da parte degli ebrei, un’altra dove sarebbe stato limitato ed una terza completamente libera. Gli Ebrei si opposero decisamemnte a questo piano perché impediva la nascita del loro “focolare nazionale ebraico”. Non è difficile immaginare come in questo contesto potesse maturare l’attentato contro Moyne. Pare del tutto irrilevante chiedersi perché si dovesse scegliere proprio Moyne. Per avere una dimensione demografico-statistico del problema è bene tener presente che alla fine della guerra si trovavano in Palestina 1.240.850 Arabi e 553.600 Ebrei. Quello ebraico era un vero e proprio insediamento nel corso degli anni e chiaramente volto alla “cacciata” degli arabi. La gran Bretagna era andata mutando il suo atteggiamento da filosionista a filoarabo. Da qui l’ostilità sionista verso gli inglesi e l’attentato.

Nel frattempo la Gran Bretagna aveva deciso di dividere con gli USA le sue responsabilità. Nel novembre del 1945, un anno dopo l’assassinio di Moyne, fu creata una nuova commissione d’inchiesta angloamericana che in pratica portò all’abolizione del Libro Bianco, ottenendo il plauso degli Ebrei, ma non quello degli Arabi. Si stabiliva l’introduzione in Palestina di altri 100.000 Ebrei, si sconsigliava la divisione del territorio in una parte araba e l’altra ebraica e si proponeva il mantenimento a tempo indeterminato del mandato britannico ed infine si consigliava di lasciare libera l’immigrazione ebraica. La Gran Bretagna non aveva intenzione di prolungare a tempo indeterminato il suo mandato e le proposte del rapporto non furono accolte. Fu redatto il 31 luglio 1946 da Herbert Morrison un nuovo piano cje divideva la Palestina in quattro zone: una provincia araba, una provincia ebraica, il distretto di Gerusalemme e il distretto del Negev. Si trattava di un piano funzionale agli interessi britannici. Questo piano trovò la ferma opposizione dell’Irgun e del gruppo Stern che organizzarono nell’agosto 1946 l’attentato all’Hotel King David. In settembre il governo inglese convocò Arabi e Agenzia ebraica a Londa per una conferenza, alla quale questi rifiutarono ufficialmente di partecipare. Fu così che la Gran Bretagna giunsè a rimettere la questione palestinese nelle mani dell’Assemblea delle Nazioni Unite, che nell’aprile 1947 costituì una commissione d’inchiesta denominata U.N.S.C.O.P.

domenica, aprile 08, 2007

L’Inquisizione: un’istituzione benemerita?

Bisogna prepararsi a tutto. Devo dire che da non specialista non mi sono mai giunte buone notizie sull’Inquisizione, sia essa quella medievale, quella spagnola o quella romana. Né i miei studi mi hanno mai spinto a dover approfondire l’argomento, che non credo sia affatto divertente. Trovo piuttosto ipocrita la distinzione fra l’aspetto puramente investigativo, di cui si occupavano per lo più i frati domenicani, e la parte esecutiva, demandata alle autorità civili o potere temporale. Quasi si potesse oggi scindere la responsabilità del mandante di un delitto da quella dell’esecutore, e magari gettare tutta la colpa sull’esecutore. Eppure così sembrerebbe da un Elogio dell’Inquisizione, che ho potuto scaricare gratis dal sito totustuus. Per medodo sono sempre pronto a rivedere i miei giudizi, se ve ne è fondato motivo. Francamente, dubito che sull’Inquisizione si possa ribaltare un giudizio consolidato. Mi compiaccio tuttavia che anche in questo senso si riconosca l’utilità di un certo revisionismo storico in un’accezione non abituale del termine. In questo post mi riservo con il tempo di indagare la questione, raccogliendo tutto il materiale disponibile in rete.

sabato, aprile 07, 2007

Papi: Pio XII (1939-1958)

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Di lui Peter De Rosa così dice: «Eugenio Pacelli, Pio XII, nacque nel 1876 da famiglia patrizia. Per motivi di salute, studiò a casa per il sacerdozio; ordinato nel 1899, fu immediatamente introdotto nel Segretariato di Stato del Vaticano e sedici anni dopo fu nominato vescovo, senza aver avuto un giorno di esperienza pastorale. Era un burocrate nato e cresciuto… Verso la fine della Prima Guerra Mondiale Pacelli era nunzio apostolico a Monaco; dopo la guerra fu trasferito a Berlino, dove assisté all'ascesa delle Camicie Brune. Nel 1929 fu richiamato a Roma e nominato cardinale e Segretario di Stato… Pur avendo visto il nazismo da vicino, aveva sempre temuto di più il comunismo. Divenne papa il 2 marzo 1939, all'età di sessantatré anni. Freddo, distante e dal volto privo di espressione, se non quando rispondeva alle acclamazioni della folla, aveva occhi marroni spenti e un profilo aquilino. Quando Mussolini mise sotto pressione la comunità ebraica, Pio prese l’abitudine di non dir nulla. Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco di Hitler; alla fine del 1941 tre quarti degli Ebrei italiani avevano perso la vita. Era ormai pronto lo scenario di quella che molti, Cattolici compresi, considerano la più vergognosa di tutte le encicliche papali, di gran lunga più terribile della Cum nimis absurdum di Paolo IV: quella che non fu mai scritta» (p. 220.21).

Succedeva a Pio XI il 2 marzo 1939 e moriva il 9 ottobre 1958. Gli succedeva papa Giovanni XXIII. Studiò al liceo-ginnaio Ennio Quirino Visconti, in Roma, in piazza del Collegio Romano. Si dottorò alla Gregoriana nel 1901. Suo fratello Francesco fu tra i principali negoziatori dei Patti Lateranensi. Su Pio XII si sta scatenando proprio in questi giorni una bufera di cui mi sto occupando in altro contesto, ma di cui voglio dare qui una versione, anche se poi la trattazione generale restera quella prevista per “Spigolature storiche”. (segue)

Links:
1. Wikipedia: Pio XII.
2. Sito Ufficiale della Santa Sede: Pio XII.