domenica, marzo 12, 2006

Storia dell'«Olocausto»

Versione 1.1

Il migliore libro sull'argomento pare essere quello di Klaus P. Fischer: Storia dell'Olocausto. Dalle origini della giudeofobia tedesca alla soluzione finale nazista, edito in traduzione italiana da Newton & Compton nel 2000. Il titolo originale del libro è indicato come: "The History of an Obsession" - Non condivido la tendenza degli editori a discostarsi dai titoli originali, per cercare l'effetto. Sul termine “Olocausto” avrei delle riserve, ma ormai è stato codificato e mi trovo anche io costretto ad usarlo. Che sia il «miglior libro» lo si legge nell’ultima pagina di copertina, riportando il giudizio di Jeffrey Burton Russel, professore di Storia e studi religiosi nella Univerity of California, Santa Barbara. Io in effetti avrei bisogno di un libro definitivo sull’argomento. Tuttavia, mentre mi accingo alla lettura del grosso volume, un fatto mi sorprende e poco mi convince. Come forse ognuno di noi, mi sono formato alcune idee sul tragico argomento. A fronte della storia di 12 anni del nazismo il fenomeno dell'antisemitismo, o come si preferisce chiamarlo (giudeofobia in Fischer, antiebraismo altrove), è antico di millenni. Una data che tutti conosciamo è il 70 dopo Cristo, quando fu distrutto il tempio di Gerusalemme ad opera dei Romani. Forse anche prima di quella data gli Ebrei erano invisi ai popoli orientali. Forse la pretesa che un solo dio fosse il vero dio (monoteismo) era un atto implicito di ostilità nei confronti delle popolazioni politeiste che potevano sentirsi offese nei loro valori religiosi, oggettivamente svalutati ed irrisi in quanto i loro dei erano per definizione "falsi e bugiardi". Il monoteismo conoscerà poi la versione cristiana e musulmana. Le religioni monoteiste faranno piazza pulita delle religioni politeiste ogni volta che ne avranno la possibilità, anche se gli dèi antichi non muoiono mai del tutto, lasciando qualche traccia del loro passaggio nello spirito umano. Le religioni monoteiste avendone i mezzi ed il potere sono portate a distruggersi reciprocamente. Secondo me è qui che Fischer dovrebbe scavare per trovare una spiegazione razionale allo sterminio degli ebrei in epoca moderna. I passaggi e le sedimentazioni metafisiche sono complesse, ma non riesco ad immaginare una spiegazione più persuasiva. Inoltre, costituisce a mio avviso una forzatura estrapolare lo sterminio dal più ampio contesto storico delle vicende che dal modo iniquo in cui si chiuse la prima guerra mondiale condussero e prepararono alla seconda guerra mondiale.

In questi giorni un pensiero irriverente si forma nella mia mente circa il significato concreto del termine evangelizzazione, a seguito delle emozioni suscitate dall'assassinio del sacerdote cattolico che in Turchia faceva appunto opera di evangelizzazione. A scanso di equivoci, pronuncio qui la più ferma e netta condanna per l'assassinio e l'assassino. Ma cosa significa evangelizzazione? Annunciare il Vangelo chiaramente. Lo sappiamo e siamo abituati a percepire il fenomeno come legittimo, salvifico, altruistico, santificante, benemerito. Ma dove ed a chi e come e perché occorre portare la Buona Novella? Ed è avvenuto nel tempo ciò sempre alla stessa maniera? Possibile che un dio onnipotente ed unica non sia capace di rivelarsi da solo, ma abbia bisogno di un supporto umano, la cui autenticità può essere messa in dubbio. La religiosità è un fenomeno che accompagna tutta la storia umana: lasciamo perdere l'ateismo che ignoro cosa sia storicamente e concretamente. Forse un qualcosa assimilabile alla religiosità è presente perfino nelle bestie, se ad esempio il timore del fuoco può essere immaginato come un timore di Dio che colpisce anche l'uomo ogni volta che si trova davanti ad un fatto prodigioso di cui non sa dare spiegazione razionale. Ma non allargiamoci troppo. Mi chiedo e vi chiedo: Cosa succede quando si ha alla propria mercé un territorio con le genti che vi abitano e che si trovano ormai in nostro completo potere. Ne facciamo quel che vogliamo. Per i motivi anzidetti anche queste genti avranno una loro religiosità. Una religione monoteista come potrà resistere nell'imporre la propria religiosità alle genti sottomesse? Un dominatore di religione politeista potrà essere più facilmente portato ad essere tolleranza, o meglio non avrà nessun interesse specifico ad estirpare ogni traccia della vecchia religione per imporre la propria. Gli basterà mettere l'altare dei suoi dei accanto a quelli del luogo. La religione romana, se ben ricordo, era strettamente radicata nel territorio dell'Urbe e le era intrinsecamente estranea qualsiasi esigenza di espansionismo ovvero di evangelizzazione pagana.

Tornando al libro di Fischer (ancora da leggere) mi sembra strano che voglia imputare ai tedeschi la loro "giudeofobia" fin dalla notte dei tempi, un migliaio di anni prima, quando le nazioni europee come noi le conosciamo erano ancora di là da venire. Ammetto che l'antisemitismo (termine che preferisco a giudeofobia) abbia un suo nucleo forte nel cristianesimo senza il quale forse non avremmo avuto probabilmente nessuna forma di antisemitismo, neppure quella nazista. Di primo acchitto mi sembra che l'antisemitismo dei secoli precedenti non abbia specifiche appartenenze nazionali. Se poi lo si vuol addossare tutto ai cattivi tedeschi il libro di Fischer mi sembra sospetto e strumentale. Ma non credo che Fischer voglia giungere a queste conclusioni. Ed in effetto, trovo scritto a p. 15: « I vari tentativi di genocidio perpetrati nel corso della storia smentiscono questa tesi di una malattia tedesca ». L'allusione è alla tesi della unicità dell'Olocausto, che renderebbe i tedeschi di conseguenza pure "unici". Colgo occasione per dire che trovo questa argomentazione tanto oziosa quanto strumentale. A rigore, tutto è unico ed incomparabile. Dipende dalla capacità di astrazione della nostra mente il trovare caratteristiche comparabili ed altre differenziali. Ma pretendere che i tedeschi, sia pure nazisti, siano dei marziani mi sembra francamente inconcepibile e invece facilmente comprensile la finalità politica strumentale insita nella tesi della unicità.

Questa non è una recensione, ma si tratta solo di rapide annotazioni che prendo nel corso di una rapida lettura del libro, soffermandomi su un punto o sull'altro. Non ho pregiudizi di sorta ed intendo trarre il massimo profitto possibile dalla lettura di Fischer. Mi dispiace però e trovo fuori tema la pagina 481, dove Fischer parla della nuova destra francese associata al nome di Alain de Benoist e cita un'unica volta Carl Schmitt: «...gli Etatisten, che seguono il filosofo conservatore Carl Schmitt nell'invocare un forte Stato nazionalista». Mi pare una superficialità gratuita che Fischer avrebbe potuto risparmiarsi se il suo intento era di dare una spiegazione storica di un fatto che si esaurisce nel 1945. Si può mal giudicare un libro non avendo sempre il tempo e la pazienza per leggerlo in ogni sua pagina e in ogni sua riga. Sono però sufficienti poche righe e poche pagine per indisporre il lettore o al contrario per indurlo ad una lettura più intensa e perfino a continue riletture. Mi pare di notare un certo pathos nelle pagine di Fischer. Orbene, io non ho bisogno di leggere il suo libro per fremere di sdegno davanti agli orrori della seconda guerra mondiale, ma ho bisogno di capire intimamente ciò che è successo: questo mi aspetto da un libro costato anni di lavoro. Fischer avrà pure scritto il "miglior libro" sul macabro argomento, ma non mi pare che sia né Tucidide né Tacito. I fatti nudi e crudi sono poi tali che pur restando per tutti gli stessi se ne possono dare interpretazioni disparate e contrapposte. Appartenendo ad una generazione che neppure era nata all'epoca degli eventi io non mi riconosco in una letteratura colpevolista e colpevolizzante: uno storico non usare queste categorie. Io ho un'eguale compassione per la vittima e per il suo carnefice e forse anche di più per il carnefice che non per la sua vittima senza con ciò che intenda cancellare la sua responsabilità penale e storica.

Questo è un Blog che si può correggere, cancellare, rivedere. Non è un libro stampato dove la verità è accertata una volta per tutte senza possibilità di rivederla. Questa è una scheda di lavoro disponibile a chiunque: un laboratorio aperto. Forse siamo agli inizi di un nuovo modo di comunicare. Il libro stampato che richiede un lavoro quasi militare e concentrato nel tempo è pure esso come una forma di monoteismo. A me piace il politeismo e se proprio devo dichiarare un'appartenenza religiosa mi professo politeista: adoro gli alberi, i fiumi, il mare, il cielo, il Sole. Di ciò si può sorridere, ma quando leggo a p. 37, dove Fischer tenta una ricostruzione storica dell'antisemitismo di matrice cristiana, che: «Le restrizioni legali contro gli Ebrei cominciarono quando lo Stato divenne cristiano » si sorvola sul fatto che dette restrizioni gravarono in modo più pesante ed esiziale sull'antico paganesimo di cui non rimase traccia e la cui estirpazione violenta non suscita un'eguale emotività. Insomma, ognuno ha i suoi morti da piangere e non possiamo sostenere che alcuni morti siano da piangere più degli altri: è saggio e pietoso avere rispetto dei morti degli altri piangendo i propri. Il risentimento è una brutta bestia che prepara nuovi lutti.